domenica 8 marzo 2015

Operaia pendolare





Di bellezza
non altro segno
che non sia questa
tua giovinezza
chiusa in un sonno
immemore e stanco.
Da te Eros sembra fuggito
– da te –
se mai t’ha sfiorato il suo incanto.
Così sulle tue labbra – pur piene –
pare ogni apollinea grazia estinta
e scontare in albo turgore
infinita fame di sonno
archiviato a credito
di  nottate al neon
di fatica manuale
ancor più  impressa
sulle  piccole mani
dai capolini corrosi
abbandonate sul grembo
come consunti pennelli

ridotti alla ghiera.

venerdì 6 marzo 2015

Si scioglievano (Vita da donne)



Si scioglievano  i chiusi petali
nel boccio

dentro il brodo di cottura
quotidiano

E la sera  stentava
a ripescare

alcunché del cuore
fuso

tra capelli d’angelo
digiuni di sapore






mercoledì 4 marzo 2015

Scrittura al femminile?


Ossia che relazione intercorre tra l'essere donna e lo scrivere.
Qualcuno ha spesso sostenuto la specificità della scrittura delle donne, sottintendendo nella nozione di specificità, una "naturale minorità" della loro scrittura. E per certi versi accade proprio che diverse scrittrici si siano mosse dentro uno psicologismo della femminilità tutto interno ai ruoli costruiti per il modello di donna felicemente assoggettata alle  situazioni di "libertà vigilata" in cui è vissuta e continua (parzialmente) a vivere, vigilata a tal punto che tu soggetto femminile di limiti a vederti con gli schemi entro i quali sei stata storicamente, culturalmente e socialmente inquadrata. 

Essendo io una persona che si è presa la libertà di documentarsi anche fuori dal proprio recinto di genere, di confrontarsi con vari punti di vista e di scrivere interpretando idee e rinunciando anche al pericoloso godimento offerto dal volersi ritratta "come ti si vuole" , ecco che  ho fatto un tentativo di affacciarmi al tema indicato sopra, riflettendo sui miei stessi testi, per esempio quelli che formano la silloge Il silenzio scolora e la raccolta di I racconti di Bianca.

Sete d’esistenza





Correva come il sangue
obbligato all’empietà religiosa del suo flusso
raccogliendo messaggi
dalle cieche finestre della sua prigione –
come il sangue correva
tua sete d’esistenza
annusando forme di destini
rullanti sulle creste che il caos
o l’ignota infermità del mondo
depone sulla sabbia
della fattualità abortita
della fattualità già morta.
Ignori ciò che annusi
tra le bende fanciulle sopra gli occhi
rimasti attaccati al sogno
e lì sorpresi a posare  sul ramo
del già domani
 e a dondolarvi fin dallo ieri
di qua del muro dell’oggi d’allora
che ti chiude in quest’adesso
moribondo ancora
senza che il dopo -
che credevi ostaggio
della stretta beatitudine del pugno –
possa scavalcarlo di persona.
Dalle tombe dei fatti promana
la sostanza di che vivi - adesso.
Condizione altra - senza io/tu nella sonorità
marina dell’idioma - questa
di verminosa esistenza e sassi – godi a saperlo!-
perché la stretta feritoia
dell’istante ne chiuderà il passaggio
senza interrogarti.

Tra le nebbie di ieri e di oggi, un pensiero personale sull’immagine che ci vede donne in cammino



Il cammino delle donne nella storia? "Cammino" implica un andare verso, come se davvero la specie Homo e poi quella Sapiens sapiens e poi quella parte della specie Sapiens sapiens foemina, custode inerme dell'evento terrifico e osceno della morte (menarca e parto all'insegna del sangue)  - e perciò deprivata di e esclusa da l'amministrazione del sacro, del sé e del potere - avesse chiaro, fin dalla sua notte, un proprio fine...
Neppure adesso la gente femmina sa i suoi sé, né dove cammini bene non sa, né con chi e per chi, come neppure i suoi omologhi maschi. Diciamo che avanza e arretra, ristagna inquieta attraversata com'è dai contrasti di classe e di cultura; inciampa sui simulacri che la abitano, s'interroga, forse per interposte persone, su  come fabbricarsi i ruoli da comprimaria in un mondo che rumina e violentemente risponde senza corrispondersi... 
I "Fogli d'album" sorvolano un cielo molto perturbato, sono il sogno appiccicato  dentro le nostre palpebre tatuate, infibulate durante rituali inventati da sedicenti dei che scambiarono per scettro un pene vacillante.
Perché ci raffiguriamo come se fossimo dentro un quadro simile a quello - Quarto stato - di Giuseppe Pellizza da Volpedo, come se fossimo il quinto stato
Siamo prese forse dal parossismo della gioia onirica che sovrappone alle parti un tutto che non c'è? Celebriamo forse la nostra forzata esclusione, come se l'avessimo scelta e fosse il monumento della nostra ambita identità?