venerdì 30 agosto 2024

Sera speciale - dal cap. V di "Ciò che resta per i ritorni" romanzo di B. Mannu

 

***

Invece quella sera speciale, di cui ho iniziato a parlare, la macchina organizzativa familiare andava a meraviglia. Perciò io quietamente occupavo la mia posta ludica e di osservazione nella “lolla”. E anche quella sera, come forse altre precedenti e certamente posteriori, Marta si dava da fare per apparecchiare con tutti i crismi delle grandi occasioni, così come nonna esigeva. E perciò aveva portato sul tavolo il cestino delle posate cesellate che qualche ora prima aveva trattato con la cenere e l’aceto. E ora le osservava alla luce della lampada facendole balenare per cogliervi qualche eventuale opacità, che peraltro si affrettava a eliminare alitandoci sopra e strofinando con un tovagliolo immacolato.

Aveva sistemato anche la sedia per nonno Augusto. Pur essendo simile ad altre, giudicate più comode fra tutte, quella di nonno si distingueva per certi segni tattili che sapeva solo lui; perché ci teneva appeso il bastone quando si muoveva liberamente nella lolla; perché sul suo fondo ci stava legato un cuscino. Però questa volta il cuscino non era il solito cuscino liso e anche macchiato, ma era rivestito d’una fodera nuova che mi pareva ricamata e molto bella.

Intanto che percepivo con i sensi e l’aiuto della memoria quanto entrava nel mio raggio, mi dedicavo al mio gioco preferito: quello di accostare le sedie a formare una specie di lettuccio. Mi ci arrampicavo e acciambellavo avvolgendomi nel drappo di ciniglia. Le sedie, ai miei movimenti, si scostavano. E io ricominciavo da capo, finché mi stancavo e mi lasciavo cogliere dal sonno. Ma quella sera, essendo presente anche mio babbo, non volevo addormentarmi. Così, quando Marta pietosamente cercò di portarmi a letto, io mi ribellai gridando: «“Voglio esserci anch’io!». Lei mi mollò e sparì. Forse mi appisolai ancora sulle sedie e dentro il drappo. Ma poi, come risvegliata dalla densità del silenzio che si era prodotto nella mescita e che tracimava nella lolla, senza essere seguito dall’atteso brusio indicante l’irruzione della famiglia, la chiamai a gran voce. Uscì a razzo dal dormitorio delle zie recando non so che panno o asciugamani.

«Dove sono tutti?» le chiesi.

«Ah, dunque sei proprio sveglia! Sono tutti di là, nel salotto buono».

«Tutti là? Anche babbo e mamma?»

«Certo».

«Ci sono i Finanzieri?»

«Ma no, che dici! C’è il fidanzato di tua zia Irene … Anche i parenti e la pronuba. Vieni, dai!»

Tutta la famiglia s’era raccolta lì con gli ospiti. Evidentemente erano entrati dal retro del Tabacchi e nella confusione dei convenevoli s’erano un po’ dimenticati di me.

C’era una foresta di piedi che si spostavano con riluttanza verso le sedie e un confuso stormire di voci che andavano affievolendosi per fare posto a voci soliste che scandivano le loro battute,  cui faceva seguito il coro delle risate e dei commenti. Quando si fece un po’ d’ordine, presi posto sulle ginocchia di babbo e mi guardai intorno. Mancavano zia Daria e suo marito, Amelio. A mio modo sapevo fare i giusti conti. Però non avevo ancora realizzato ciò che col tempo mi divenne, inequivocabilmente, chiaro: che i due erano “la bestia nera” di mia madre. E, perciò, dove era presente l’una gli altri non si mostravano, e viceversa.

Dal chiodo di quell’assenza vedevo anche pendere - momentaneamente innocuo - l’ambiguo senso di certe ruvide espressioni materne al mio indirizzo, quando, in casa, a Vineanova, ne avevo combinata qualcuna.

Al momento, stando alle apparenze, nessuno sembrava notare o risentire della loro mancanza. E io facevo solo il notaio per mio conto.

C’erano - quella sera - parecchie persone a me ignote, da cui ebbi distratte carezze sui capelli, e c’era, ovviamente, il famoso fidanzato di zia Irene, Rinuccio. Il quale, senza colpa alcuna, destò in me un’istintiva, immediata, inspiegabile avversione. Ricordo nitidamente questo mio sentimento, perché un evento successivo e imprevedibile mi costrinse a far pace con la sua immagine.

Nessun commento:

Posta un commento