mercoledì 26 giugno 2024

Recensione di G. Sicura alla poesia "Ritmi e cadenze" di Bianca Mannu

 

Ritmi e cadenze: concerto poetico/filosofico di Bianca Mannu

 

È una mia antica conoscenza questo testo, pubblicato nel 2013 da Bianca Mannu nella silloge “Tra fori di senso”, una delle sue raccolte più interessanti. Ho ritrovato tracce del mio passaggio tra questi versi in un segno a matita sull’angolo destro della pagina: due linee oblique ( il massimo). Lo stesso anno questa poesia partecipò ad un concorso e non si classificò tra le sei finaliste. La cosa mi sorprese molto e (avendo letto tutte le poesie partecipanti) confermò il mio giudizio negativo nei confronti dei concorsi letterari. Qualche giorno fa ho avuto modo di riprendere in mano la silloge e non ho resistito alla tentazione di spendere qualche pensiero per questa poesia che, a mio parere, merita molta considerazione. 

 

Bianca Mannu è una poetessa dal linguaggio raffinato e colto e non sempre le sue poesie sono comprensibili a prima lettura, ma questa ( e anche altre della silloge) ha un andamento fluido e leggero dall’inizio alla fine. Con eleganza e profondità di pensiero le parole e i versi procedono sempre connessi tra di loro ed inscindibili, in modo semplice e naturale, come le acque di un fiume verso il mare.  E sì… è davvero un mare di sensazioni e pensieri quello che ci lasciano! Sono versi che palesano, già a prima lettura, una musicalità intrinseca, favorita dalle frequenti assonanze; versi che fanno a meno delle rime ma che si nutrono di poesia, quella che vive e palpita dentro metafore suggestive ed inusuali. Come in un concerto, nella seconda parte e fino all’ultima strofa, entra in azione uno strumento “retorico”: l’anàfora… e la musicalità s’intensifica, ogni verso si carica di pathos e teatralità, alla palese ricerca di coinvolgimento del lettore. L’aggettivo mia/mio, riecheggerà a lungo dentro di noi, come un’orecchiabile ed imponente nenia.

 

Esplicito anche il pensiero della poetessa fin dalla prima strofa, dove si annuncia il tema: l’indubbio sentore di una signoria inoppugnabile. Nell’incedere dei versi quel sentore si consolida in una personale filosofia: un pensiero che si delinea come antropocentrico e che, in qualche modo, ci riporta all’io empirico fichtiano che, nell’esercizio dell’autocoscienza, riesce ad innalzarsi fino all’io puro, infinito. Una filosofia frutto di una continua ricerca interiore che porta la poetessa ad osservare ed analizzare la realtà, fino a sentirla come parte di sé. Bianca sa d’essere parte di un tutto che le appartiene, è la padrona del suo tempo e di tutto ciò che ruota o comunque possa muoversi dentro quel tempo, attorno a lei e dentro di lei, che non se ne cura affatto (come il sole non si cura dei pianeti).Un possesso-negazione che le permetterà di acquisire il potere del distacco e la conquista dell’assoluta libertà: uno scacco matto al potere del Tempo! Uno scacco reiterato dall’Ego poetico ad ogni strofa! 

Non solo la poetessa è incurante del passaggio delle ore, ma anche del giorno e della notte nel loro manifestarsi; persino il sole che irrompe “sui balconi” e la notte che rimpicciolisce “l’orgoglio/ dei fari e dei lampioni” diventano nullità ai suoi occhi, ma nello stesso tempo li vediamo già dentro di lei, umanizzati, personificati dalle parole, come ad ulteriore conferma di un ego-centrismo  in cui il tutto si fa umano e l’io poetico si concentra, prendendo la forma di un “tutt’uno” con le cose, col pensiero e col tempo. Tutto è l’io e tutto appartiene all’io, anche ciò che si trova dentro le parole dette o non dette, dentro il palpito stesso delle parole e quello dei sensi, che vibrano “percossi dal divino ritmo del cuore”. Appartiene all’io anche, indubbiamente, ogni travaglio insito nella ricerca della parola poetica (rincorsa, presa o perdita) e persino gli stessi ritmi del cuore, che gioisce solitario nel sentirsi signore di così tanta “precaria potestà/ fatta di niente”. E se da un lato alcuni avverbi e locuzioni temporali sparsi qua e là tra i versi (al momento - allora) vorrebbero indicare la momentaneità di quella signoria, dall’altro l’aggettivo divino ci conferma la raggiunta assolutezza dell’io (pur nella sua materialità) e pare indicarci uno stato definitivo. Ad eludere ogni dubbio l’ultimo verso, tanto inatteso quanto inevitabile, nella sua cruda evidenza attesta una presa di coscienza finale molto amara: un contraccolpo allo scacco! Un tutto l’io, ma un tutto che si palesa realisticamente in un ammasso di nullità ed anche quell’interiore ed illimitata libertà, che potrebbe fare da contrappeso, non può che essere destinata all’auto-deflagrazione.

 

Un amalgama di filosofia e poesia, che si tengono a braccetto con ricercatezza e disinvoltura; una mistura ben dosata, dove il profondo pensiero della poetessa viene alla luce senza forzature, suggellato e arricchito da preziosi picchi di poesia… e penso ai balconi violati dai raggi del sole e penso ai fari e ai lampioni defraudati del loro orgoglio e quasi derisi dall’immenso buio della notte, che della loro misera luce non potrà che adornarsi a malapena “il manto”. E che dire “di tutte le cose spettinate che sono dentro le parole” o delle parole che si aprono “come fiori di luce agli apici dei sensi”? Sono grumi d’intensa poesia che testimoniano quel groviglio di sensazioni e palpiti che accompagna ogni processo creativo che fa uso delle parole, sono quel flusso luminoso che invade tutti i sensi quando le parole giuste finalmente si palesano.

                                                                                            Giuseppa Sicura

 

 

Bianca Mannu – Nata a Dolianova (CA) nel 1942. Abilitazione Magistrale, poi laurea alla Facoltà di Magistero di Cagliari, indirizzo epistemologico. Insegna e scrive. Partecipa ad attività culturali. Dopo un trentennio, con­cluso l’insegnamento, stampa una silloge di oltre 70 composizioni col titolo di “Misteriosi ritorni”. Nel 2004 entra con poesie e brevi racconti in alcune antologie. Nel 2006 esce una nuova raccolta di  versi, “Fabellae”, per Aipsa edizioniNel dicembre 2010 vede la luce “Da nonna Annetta” (romanzo) - Ed. La Rifles­sione. Nel 2012 “Quot dies” (poesie), per Youcanprint Ed. e “Crepuscoli”(racconti), per Booksprint Ed. Nel 2013 esce “Camilla”(racconto  lungo); nello stesso anno “Tra fori di senso” e “Alluci scalzi” (sillogi di poesia) per Youcanprint Ed. Nel 2014 escono “Il silenzio scolora”, poesie di argomento amoroso inedite o sparse nelle altre sillogi per Mariapuntaoru Ed., e “I racconti di Bianca” per Thoth Ed. Nel 2016, stessa Ed., esce “Dove trasvola il falco” (poesie). Nel 2017 pubblica “Sulla gobba del tempo”(poesie) insieme ad altri tre poeti: M.B.Biggio – C.Onnis – G. Sicura. Diversi riconoscimenti ai pochi concorsi, gestisce un proprio blog su Blogger http://verbiedi-verbi.blospot.com, e proprie pagine su www.larecherche.it  e su www.facebook.it

 



venerdì 21 giugno 2024

Dillo a un Sikh - (urlo, canto, inno e lamento degli oppressi per la penna e l'animo di Bianca Mannu - inedito)

 





Dillo a un Sikh

quali sono i Nostri Valori -

dillo ai suoi conterranei

sparati come tralci avventizi

dal vento dell’urgenza

sui  campi dell’Agro

sulle piane di Partenope

sugli orti Cisalpini

 

Chiedigli se son leggere

le dieci ore più quattro -

quando la sorte vuole -

alla pioggia  al sole e a ogni tempo

dalle albe incolori

al sangue dei tramonti

con niente nella pancia

e la ganascia del doping

a stringere il cervello

 

Tu dici che canta

quando inginocchiato

strappa alla terra

tuberi e carote?

E quando conosce l’aspro

dell’uva e dell’oliva

chissà che musica coltiva?

Dico che il suo corpo canta

come una ferita tutto

e sogna sua interinale

assenza dalla vita

 

Assenza provvisoria - certo -

da una vita che - pur di sterco -

frequenta assidua la speranza

e questa conferisce all’esistenza

il tempo di  continuare in stand bay

e ammortizzare i guai da surmenage …

Quando la vita ha un solo lancio

anche il più sporco strame per giaciglio

se non è mano amica è almeno gancio

cui sospendere ciò che - o uomo d’opera –

solamente tuo rimane inesorabile:

il duro esito del giorno

 

Invece tu - uomo del capitale -

che prescindi dall’umano altrui

scomputi ciò che ti conviene:

la cosa-lavoro - quella che mercanteggi -

e che - a te poco o niente parendo -

per eccesso di mercantile offerta

la natura a dare frutti induce

E ti scotta il tempo mentre attendi:

incalzi al moto i suoi sfinteri

per  accrescere  il tuo utile in saccoccia

ma i rigori a saldo lasci altrui.

 

Del bracciante - il cui sudore

a tuo favore provocato ti ripugna -

quasi nulla sai che non sia sua fame

e su quella mandi a schiacciare il piede -

non il tuo - stiloso  e così ben calzato! –

ma quello chiodato d’un vile caporale.

 

Forse quel cristo  crocifisso

alla sua condizione di operaio 

 si sarà chiesto - per un meriggio intero

 e per successivi mille di sgobbo

 imbevuti all’osso di strappi e contumelie  -                       

di qual delitto mai e di qual vita obliata

voglia emendarlo il suo dio

 

Ma - come tutti gli dei -

neppure il suo risponde

Altrove guarda forse 

o altri suoi Valori raccomanda

oppure nel suo ombelico stesso

coglie la fuga d’ogni divino senso

Non c’è modo e non c’è verso

un Sikh da solo - come ogni uomo inerme -

si sente e campa da lombrico funzionale

tra sottosuolo e fango

dove muore privo dell’umano rango

 

Gridalo, Sikh, gridalo forte

insieme ai tuoi fratelli neri

incattiviti sui  campi del Salento -

ubriachi di fatica e d’indigenze

dannati a smaltire gli ergastula diurni

dentro tendopoli infernali …

 

Gridatelo anche voi

operai tarantini intossicati

mentre morite a poco a poco

nei paradisi dei vostri letti …

E tutti voi - dispersi e soli

a sfangare la vita lottando

con un qualche marchingegno traditore -

soffiatelo con la forza dei tornado

dentro le orecchie dei professori ISTAT -

gridate che - pure consunta

ogni marcata essenza agglutinante -

siete magari folla sfilacciata e spersa

d’umani - troppo tristi umani e vivi -

sparpagliata truppa inerme -

prigiona a guerra persa.

martedì 11 giugno 2024

6 o non 6...? Malizioso pensierino di Bianca Mannu

 

6 o non 6...?

 

"Sei o non sei antifascista?" E' questa la domanda stucchevole che continua ad essere rivolta  agli esponenti apicali dei partiti vincitori delle ultime politiche. Le risposte sono ambigue, false, incoerenti, e altrettanto stucchevoli. Le sciroppano al cronista, alle varie telecamere e a noi, che talvolta ascoltiamo allibiti, come prove, non della buona fede, ma della loro capacità persuasiva unita alla convinzione di aver sempre buon gioco in quanto “comandanti del vapore”.                                                                       E infatti bisogna che noi astanti e subenti facciamo appello al nucleo personale e ancestrale del sospetto, riattivarlo per evitare  di essere presi nella pania come gattini ciechi. 

L'impressione che io ricavo da tale schermaglia - io e la gente da niente come me - equivale al senso di una menata per il naso. Perché ognuno di quelli al potere ne ha dette e fatte, in modo quasi insopportabile, tutti i giorni e nelle più diverse occasioni. Forse ci saremmo aspettati minore arroganza nelle rivendicazioni del "nuovo" Potere a  “poter dire e fare” quanto ritenuto suo conveniente diritto, esporre senza limiti e colmare ogni occasione di incontrollate asserzioni. E queste ancora  ribadite con grida e sproloqui, tali da  far aggricciare le nostre minuscole intelligenze, tuttavia aduse ai sentori di più raffinate dialettiche.

Mi aspetterei che i politici, quelli ritenuti “buoni”, svagati fabbricatori di questo stato di cose, quelli che si dicevano antropologicamente netti e che non sono stati né politicamente né moralmente affidabili, la smettessero di chiedere a vuoto certe professioni di fede a  questi ultimi caporali , tutti tesi a ingessare e retrodatare le viventi tensioni umane, volti ad approfondire gli iati razziali e di classe, mancanti di una qualsiasi idea di costituzionale uguaglianza tra umani, impotenti a promuovere disegni sociali  inclusivi, incapaci di attivare  qualche straccio d’immaginazione e d’operosità politica, un qualche tentativo, magari maldestro, di rimediare agli scassi sociali prodotti dai modi di produzione eccessivamente competitivi ed esosi, gravanti su persone, ambienti e risorse non illimitate.

Se la richiesta non riguarderà che parole ed espressioni liturgiche, con qualche torsione ci si accomoderà al nuovo abito, s’inaugurerà una moda così pervasiva e accomodante da risultare naturale e pesino soporifera. D’altronde la fascinazione del potere è capace di slacciare le stringhe alla rigidità  noviziale  per consentire l’uso  di più stringenti e convenienti ganasce. Per maneggiare fortemente queste, non c’è considerazione più adeguata di quella attribuita a Enrico di Navarra, allorché da ex ugonotto si scoprì cattolico: “Parigi val bene una messa!”  

Ma nei fatti conteranno quelli che maneggiano le chiavi del potere, usando il linguaggio più pervasivo e complice, quello dell’indifferenza logica, adatto all’ottundimento percettivo delle platee  catturate della credibilità fantasma che si adegua a tutto … Si procederà come Enrico di Navarra:«Parigi val bene una messa!»

La commedia degli inganni e autoinganni ha un suo tempo assicurato. Gli opposti che tali non furono, ma tali si dicono, si somiglieranno nei difetti contaminandosi: non uguaglianza, ma intercambiabilità, perché tutto scorra … Finché scorrerà …