Con artiglio inguantato
m’afferrò l’anima e il corpo
un silenzio camuffato
da custode filantropo
e maestro illusionista:
col suo specchio adulterato
Febo Apollo |
Così non vissi che la vita altrui
nei suoi anditi ed angoli bui
e madre ne divenni e culla
tentando meritarmi – e dico nulla -
da Febo Apollo dio della bellezza
un sole anche brillante di gaiezza
Di vivo sangue magra la parola
che a lungo vellicata ricercavo -
manchevole di forza mi pareva
ogni mio fiato - oscena capriola
il grafo che a fatica ne traevo:
tra volere e potere era alterato
il mio esistere
… Schiacciato!
Apollo modulava nei
giardini
levigava nel marmo sempiterno
forme squisite e
tratti suoi divini
invece nel mio interno
regnava il gelo
dell’Averno:
Dioniso/Zagreo |
stava di Febo copia tramortita -
di Dioniso - che
certo m’abitava -
solo la sua ombra
striminzita
Sul fondo questi
coatto se ne stava
nel morto nodo dei
miei visceri muti
Nel liberarlo produssi
lo sconquasso:
non fece parola ma
solo strilli acuti
e pungolò talmente il
mio ombelico
ch’io fui presta a
tramutar di passo
Per amor di verità
questo dico:
nell’ozio la sua brama
di gioco
con lunga notte prorogava
l’alba
cullando Febo nel letto delle nuvole
e ai miei versi lasciando voce scialba
Avrei ritrovato il tempo delle nespole –
ora che Dioniso s’era ripreso il clima?
Interrogato – Crono sbottò - Sorbole !
Ne hai appena un avanzo per l’anima!
peregrinando continuo la disamina
del mio intimo - chiusi i conti
d’occasione
Friedrich W. Nietzsche |
Con senso di colpa e arsa di dolore
tento invertire l’antica rimozione
confidando in un caso guaritore
legante insieme in unico momento
un tocco d’alba e un pieno di tramonto
in un idioma che non rifiuta il vero
ed ha misura di mistero e canto.
Nota - Metaforizzare una condizione, un problema, si può. Con una certa leggerezza si pesca dal classico, ripensato con lo spirito della modernità inattuale di Nietzsche.
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