Seconda parte
Dell’altoforno so per verbi
scialbi
l’arsione – altrimenti feroce
–
del suo fiato.
E solo per procura dei media
la sibilante pazzia conosco
dei fuochi e degli acciai
sfuggiti alle ragioni e
prigioni
tecnologiche
per causa degli imprevisti
colpi –
si mitizza - della malasorte
su malfatati Efesto di caduca
sostanza -
appesi a un salario
magro e morganatico.
Conosco per sentito dire
le bocche delle trance - delle tramogge
delle pompe a risucchio e a cremagliera –
spalancate – avide –
dentate – semoventi –
con voci di tuono
e stridenti di ferraglia …
Di debolezza si mormora
a carico di uccelli giganteschi e implumi –
forgiati in gelidi metalli e
vetri –
di gru fradice - si dice - di bufera
e d’altri scempi …
E di stantuffi matti – si narra ancora –
colti a sfiatare in faccia
micidiali vapori al diavolaccio
che – per motivi - si disse –
di razziale ascendenza –
di scarsa intelligenza-
per nera pelle o bianca o
all’incanto s’è posto – oggi lo si ammette! -
per obbligo di economica natura
d’ “impar condicio” storico-sociale
e di altri – (sempre per malasorte!)
non solo ideologici - tormenti.
E io ?… In quale – di detti
registri –
sono inscritta?
Sono forse sfuggita di mano
al mio più duro destino?
Però sono dovunque
dovunque hanno lasciato ossa
e pelle gli antenati e miei parenti
e altri ritenuti alieni d’oltremare.
Contro quel destino
mi sono evoluta stranamente
e in un modo che
certo ha del sorprendente.
Sento di vegetare adesso
un po’ torpidamente
Tra pioggia e vento confido
allargarmi sulla roccia avara
e scaldarmi di sole generoso …
Respiro – respiro
respiro a tempo di risacca.
E respirando sopravvivo.
Sono lichene e sul mio sasso
scrivo!
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