lunedì 21 settembre 2020

Lei - da "Camilla" racconto edito di B.Mannu

 

Lei

 Fu in tale turbine di pensieri che “lei” entrò, visibilmente claudicante, scortata dal notaio, in quella stanza piena di scaffali antichi e di retaggi professionali. Mi diede l’impressione di una piccola falena entrata lì per inganno, tanto mi parve incolore e impacciata. Timidamente mi mise a fuoco dentro quei suoi grandi occhi iridescenti come prati al trapasso di stagione, poi chinò lo sguardo sulle proprie scarpe.  Per successivi attimi ciascuno, sollevando di nascosto le palpebre sul volto altrui, cercò  i segni visibili del proprio, senza riuscirvi. E quando, cioè quasi subito, il legale con gesto formale ripeté i nostri rispettivi nomi, ci sparammo l’un l’altra una seconda occhiata e, tendendoci reciprocamente la destra, accompagnammo il suono dei nomi con certi scotimenti del capo, come per l’azione di un cordino che un’entità impalpabile avesse strattonato dietro ciascuno. Preso posto su certi scranni di stile indefinibile, espletate alcune formalità annunciate, scambiati i ringraziamenti e stabilito un colloquio a tre a esequie concluse, il notaio, nel dirci che potevamo fraternizzare in tutta tranquillità nel luogo occupato, guadagnò l’ambiente attiguo chiudendo l’uscio alle sue  spalle.

Fummo ghermiti da un silenzio atroce. Ciascuno a fissare le proprie mani abbandonate sul grembo. Di colpo una pendola monumentale seminascosta tra un armadio e uno scaffale ci tolse dall’imbarazzo prorompendo in uno scampanio del tutto inatteso. Sussultammo all’unisono. E lì ci vinse una specie di riso irrefrenabile e insensato che ci obbligò seduta stante a rifugiarci in una curiosa quanto gratuita complicità. Lei poi avvampò, si levò e disse “devo andare”. Io, automaticamente, le andai dietro.


Nota - E da quel punto intuire l'improponibilità e l'impossibilità di tornare indietro. (B.M.)

giovedì 3 settembre 2020

UN GIORNO ... buono - inedita di Bianca Mannu

 

Un giorno … buono

 

Oggi – alba qualunque di questa strana estate

uscita cionca dagli assalti covid –

tu beatamente indenne – il tuo pacchetto

d’anni sulle spalle – leggère per non sgradita solitudine –

tu – signora delle tue chiavi e del tuo tempo

salvato alla beatitudine d’un tempo ritrovato …

Tu forse il richiamo hai colto della prima luce: eccola

sfiorare la caligine del mare semiaddormentato

 

Non suono di voci sulla spiaggia – palpebra dorata

e fremiti di ciglia ancor bagnate di notturno …

Non so se hai titubato – se un languore strano

ha fatto molle o ha affrettato il tuo cammino –

certo col respiro dell’onda hai respirato

la sua cadenza murmure d‘incanto

Succede ai solitari con molta vita alle spalle

di aderire a richiami  insoliti e segreti

 

Hai respirato con l’aria – quasi ti fosse poco –

la rete di luce che il sole nell’acqua cristallina disegnava

e di nuovo il tuo petto s’è prestato

all’invito imperativo del mattino

E tu – non si sa come né con quale decisione –

certo ebbra d’assoluto – sei andata dietro

al tuo respiro in fuga verso l’infinito

Così smaniosa e unica bagnante l’hai rincorso …

 

T’ha abbracciato l’acqua sostenendo il tuo corpo

abbandonarsi cullante alla sua nenia

Come una bagnante appassionata e assorta

sei apparsa all’occhio interrogante

dei solitari sopraggiunti e incerti

 

Dopo : mistero inquietante sotto un drappo bianco

all’ombra di un parasole di spettanza

 

Son certa – per quanto poco ti conosca – che hai colto

intera – forse con una fitta al cuore – questa ricchezza

che sapendo hai voluto - che più non sai.  

venerdì 12 giugno 2020

Nel buio di Dio - testo inedito di Bianca Mannu



Noticina – Una fiaba triste a memoria di questo triste evento che ne replica altri, inenarrabili.  Com’è possibile credere alla menzogna  secondo la quale, qualora tu venga preso e ucciso dalla legge nella persona  di una pattuglia di poliziotti, la colpa è solo tua e l’esito te lo sei cercato? Conta niente se quasi il 50% di una popolazione mista è considerato fonte di criminalità? E com’è che quella di pelle nera  è formata dai più poveri ammassati nei ghetti?

Nel buio di Dio

O vecchio Dio - chi glauco e canuto
ti dipinse il volto - la tua deità
restrinse in un modello ambiguo
e me – come Nonhomo - rinchiuse
in questa scorza  corvina
a indelebile marchio di ferino
A prova riluce ancora sulla pelle
l’ancestrale obbligo allo stento

Non più celato  –  ma sempre delittuoso –
il pur nero capriccio insiste ostinato
a uscire dalla negazione
per conseguire l’umano nelle sue pendici -
spoglia perduta nell’inganno d’inizio
Mai l’esule schiatta degli Albini –
smemorati e alieni di loro tristi eventi –
tanto ha deriso ed è ferocemente avversa
a così paradossale sogno!

In un giorno come tanti - negligenza
e pandemico squallore segnano
d’un assurdo più assurdo
l’esistenza dei molti bipedi destinati
alle ripetute scazzottate di “no”
disposti dai poteri in repliche
 di controlli e scremature …

Un acquario d’ombre - la città -
Stomaci vuoti febbri solitudini
medicina esosa e tanta morte …
velocemente ratificata …  in prosa
È già stampato nei cervelli omologati
lo stereotipo più comune e fastidioso
inconfondibile per ceto ed etnia:
a sciolti drappelli sciama scazzato
“in bambola” dagli slum delle periferie

Frizza l’aria ferma delle brulle strade
armate di sbirri macchinati
esperti di caccia - celeri a spiccare
dai soggetti più smarriti e offesi
 inconfutabili indizi e “prove”
per possibili incriminazioni

Eccola!Una lava si getta su me inerte 
che un po’ sono strippato – vuote le mani
e molli – ché un po’ paio allupato  …
… una  lava! d’un lento insopportabile –
più nera del mio nero umore
più nera dell’improvviso mio terrore
dietro la coda mozza del mio …carrr… burrr…atorrreee

Spietatamente rauco il risucchio
costretto a conficcarsi nella strozza
 e a spaccare le ghirbe – subito pazze - del corpo …
 Morire – Dio! – Dura a lungo  morire
 perché il cervello non ci crede –
non vuole ubbidire al comando
d’un ginocchio sul collo - e “conosce” …
Conosce? - Dio! Cos’è “conoscere”?

Non passa luce - nessuna nobiltà
scintilla nello sgranare una per una
l’infinita sequela distruttiva
di cellule di sangue e d’organi inquieti
in un corpo repentinamente  ai ceppi
- indocile resiste perché vivo -
mentre vorresti già da morto
esser passato oltre la dogana

Adesso - a forza privato di respiro -
sono al Tuo Buio giunto – arriva a me
dal mondo il mio nerume in suono
come un sole che grida nascendo
nuovo e virulento dalla bruna terra
Piangerei – se potessi – la sventura
di non essere presente di persona

Simile in nulla è l’opulento
Ufficio in terra consacrata
alla mia sporca vita! 
Stava in quest’ultimo esproprio
forse celato dei miei vuoti giorni
il senso - che mi chiama in causa
senza riguardarmi?

E qui - nel tuo Altrove di nulla - sparisce
come di ragione – il me Altro di niente
con l’io Primo che ancora si consuma bianco …
Tutto qui torna uguale all’indicibile
- né hai tu viso mani barba ed età 
     (così la cosa inscatolata sotto il mio nome!)
di cui si possa da questa Buia Soglia
ad alcuno - per vero - raccontare.