Forse s’era formato di nascosto un seme storico, ma nessuno sapeva se esistesse davvero, se potesse dare frutti e riprodursi; tanto meno se si potesse attribuirgli un nome. Eppure, a leggere le tracce trasfuse nei racconti degli aedi, esperti frequentatori degli antichi clan di Aristoi greci e asiatici, qualcosa di paragonabile a un seme s’era forse formato e dormiva sonni pesanti da cui forse sarà schizzato per brevi e strani segnali sonnambolici. Gli indovini avranno certo preconizzato i suoi casuali episodi luttuosi per attribuirli all’ira d’una qualche deità scontenta.
Ma il nome di questo fantomatico seme dovette attendere forse più di tremila anni per catapultarsi, con varie piroette, dal dialetto medico, alle ironiche e sprezzanti battute scritte a stampa da un Autore, stimato grande penna, per andare a deporre qualche spora sul più fertile e inquieto universo storico-sociale dell’evo contemporaneo, quello che iniziava con l’assalto alla Bastiglia il 14 luglio del 1789.
Chi in quel momento occupava quel ribollente universo?
Nobili e alto clero, certamente e, si sa, i rappresentanti del Terzo e anche del Quarto Stato: Girondini, Giacobini, Foglianti e una miriade di partiti anche in lotta acerrima fra loro, perché in quell’ombelico di mondo, che era la Francia, sembravano scaturite con urgenza vitale le condizioni per il sovvertimento dell’ordine cosmico.
Sì, c’erano tutti loro coi loro tragici compiti, nei quali si trovarono variamente implicate, e non meno arrabbiate, le cittadine francesi del Terzo e Quarto stato, les femmes.
Gli altri, les philosophes, gli illuministi già passati a miglior vita, antesignani del catastrofico mutamento, avevano lavorato così bene il terreno per la Rivoluzione giuridica sociale e politica, ma avevano speso pochissimi pensieri e ancor meno inchiostro per la sorte del quinto stato, les femmes.
Invece lei, Marie, alias Olympe De Gouges, nel 1791 – in piena Rivoluzione – pubblicò La dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina come prosecuzione della smemorata Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, rimasta muta sulla componente femminile. Ritenuta girondina, Olympe fu ghigliottinata nel 1793.
Com’è noto, i movimenti giovani sono gracili e devono mordere molta polvere prima di divenire passabilmente maturi. Nei momenti di stanca scompaiono dalle superfici e tornano al nutrimento placentare.
Ma noi, ora viventi, che siamo il loro non proprio felice futuro, ancora sentiamo sul collo il fiato pesante del padre despota, sia pure ammorbidito, perché costretto periodicamente ad allentare le maglie del castello.
Per via della poca luce che lo sguardo riesce a posare sul buio dell’antico, si può credere di captare sporadici sentori di Paleofemminismo. (Ecco mi sono presa questa libertà!) Paleofemminismmo recessivo e cortigiano nelle vicende mitiche dell’arcaismo greco, arrivate a noi tramite l’epopea omerica e il teatro tragico antico. E mi sembra che il cordone ombelicale, tra quello e l'attuale oligarca, resista.
Non sappiamo, (io di certo non lo so) come sia avvenuto che il gruppo maschile della parentela arcaica abbia strappato per sé tutto il privilegio concepibile allora, inventato e volto a suo favore la pratica esoterica dell’accumulare, escludere custodire e usare memoria collettiva e beni, amministrare sacro e profano secondo criteri, ambiti e false garanzie con cui le donne furono di sicuro raggirate e presto immolate alla loro (e ancora nostra) pochezza, gabellata come nativa e insormontabile. Così il loro corpo (cioè nostro), solerte macchina umana di produzione di beni e di prole per via della potente e temibile fertilità, segnata da mestrui doglie e puerperi, è stato violato e costretto a una gestione subordinata. Persino il pensiero femminile – umiliato alla stregua di neghittoso e mendace artifizio - fu sempre inquisito e abitato da altra voce, voce d’uomo o di deità misteriose. Così mi figuro sia stato stabilito lo statuto sacrificale dall’ordine maschile sul femminile.
E allora oggi penso a come sia stato agevole, nel chiuso dei piccoli clan, insinuare confini interni, regole diseguali e castighi, gerarchie di ruoli segreti, fingendoli emanazioni di un “sotto” o di un “sopra” insondabile, deificato
Di sicuro le femmine parteggiavano, spesso le une avverse alle altre, secondo la regola divide et impera del pater; ed altre ancora - malgrado i timori – stringere congiura per mandare ad effetto rivolte o delitti risolutori, talora sventati e soppressi nel sangue, “dimenticati.”
Ma continuo a domandarmi: « Perché le donne si sono convinte di essere costituzionalmente minori, pur avendo sperimentato resistenza e prove di tante loro capacità? »
Mi rispondo: «Ammesso che ci sia stato un inizio, esso avrà avuto le stigmate della particolarità legata al gioco contestuale dei tempi e delle geografie… Sappiamo oggi, “esperti ed esperte” di ruoli razziali e di classi, che il potere organizzato organizza a sua volta, servendosi dello stillicidio educativo precoce, della casualità favorevole e della dissuasione violenta.
«Però - ribadisco fra me - la battaglia delle femmine era pur cominciata. Magari
l’arte letteraria l’avrà rielaborata sul profilo del mito e della tensione
narrativa, magari avrà enfatizzato la possibilità delle sue sconfitte, ma quell’arte stessa ci racconta
con spirito di verità che la determinazione battagliera delle donne era già
germinata».
Però non riesco a gioire del presente o a sperare sul tempo prossimo: molte guerre di Troia sono in corso; e altre, che sembrano finite, continuano oltre la procurata sordità da Primo Mondo. L’ultimo attacco, con i favori della pandemia, irrompe a scena aperta nel nostro centralissimo proscenio globale … Attivi e insolventi, diversi patriarchi di molto ambigue patrie ripetono antichi e minacciosi detti. Le madri costrette nei caveaux, le donne si ritrovano coriste di piazza: unisono indistinguibile …Vorrei, credo che vorremmo celebrare quel famoso memoriale festivo che abbiamo pagato e ripagato con ripetute sofferenze e rovine … Memoriale, sì, dobbiamo sottolinearlo. Ma festa, no; non possiamo!
Nota-Al momento si utilizza la parola "oligarca" in riferimento al russo ricco e potente. Anche nel così detto "mondo libero" comandano gli oligarchi. Quel che è curioso, ma non tanto, è la convinzione che siano i popoli "liberi" a scegliere i propri oligarchi e i loro commessi, e così appare con infinite testimonianze a conferma. Ed è come se ignorassimo i modi con cui si configura socialmente, razzialmente, culturalmente(e quindi ideologicamente) il sistema politico mondiale attuale nel raggio di tutti i punti cardinali. Alcune società tribali, per come vengono studiate dagli antropologi e sulla base dei loro prodotti artistici e letterari e delle tracce fisiche relative ai meccanismi organizzanti, sembrano offrire la visione in vitro delle logiche sottese alla nostra condizione vivente. Gli oligarchi di qualsivoglia nazionalità sono anche inguaribili patriarchi. Le differenze riguardano le tonalità e la disposizione di ogni stato nella scacchiera globale.
RispondiEliminaNon bido rabanella o colcorija
RispondiEliminama intendo campaneddas chena festa
e bido peta meda in sa cadrija
addescu de issinzu e de protesta
pro che leare crosta dae s’orija
cando sighit relata cun sa testa
e ispero e creo nde fatant provista
de sa sustantzia chi as postu in lista.
Unu caru abbratzu, antoni