giovedì 7 luglio 2016

ESISTENZE-INSISTENZE E STRASCICHI

 "Dettagli di un sorriso" .... Favola nera

Il processo di decodifica e interpretazione di un testo complesso, come quello di un romanzo, da parte di un lettore quasi comune quale io sono, non può dirsi compiuto in qualche giro di frase, anche perché la lettura effettuata continua a frugare il sottofondo esperienziale, culturale, il sistema concettuale e immaginativo del lettore che interroga il testo e se stesso per suo tramite.
 Ma io non avrei scritto ciò che ho scritto e sto per scrivere se non fosse nato un colloquio con l'Autore, il più bello e interessante che  io abbia vissuto in tanti anni di scrittura e frequentazioni fb, ma anche di discreta partecipazione in corpore agli incontri letterari, da cui qualcosa ho desunto.
Per esempio che la platea dei lettori è, non solo, ridotta rispetto alle potenzialità numeriche e alla diffusione delle competenze strumentali, ma superficiale, fissata sul “mi piace” o “salta”, come su fb, o sull’applauso che non viene negato a nessuno, qualunque cosa presenti o legga.
 Gran parte del pubblico legge narrativa con lo stesso atteggiamento con cui consuma hotdog da Mc Donald’s: riempie un vuoto, il vuoto di un momento, che poco dopo si manifesterà come bisogno di acquisizione o di consumazione di qualcos’altro, con esito simile al precedente, a meno che il vuoto dell’animo e quello fisico non venga temporaneamente riempito da alcunché somigli a uno spettacolo, dove ognuno diventa volta a volta attore e pubblico, celebra la voglia di esibizione egotistica o gode di riflesso per quella altrui; e brucia così un pezzo del suo tempo di vita, divenendo “oggetto che gode”: pancia, stomaco, solletico del corpo tramite le facili sinapsi sottocorticali, mentre fuori da questo alveo è noia, è palla, è costrizione dentro il tempo lungo della fatica o del doversi incontrare col proprio sé ignoto che guarda, dunque è inferno da cui  velocemente cercare di uscire … Io mi spiego così, l’enorme platea dei lettori dei gossip: pessima letteratura adatta a stuzzicare curiosità viziose, a semplificare o a mettere in mora il pensiero razionale, a occupare il vuoto mentale.
Valdo, il protagonista del romanzo, malgrado il suo livello di istruzione, possiede in buona misura queste caratteristiche.  Per dirla in altro modo – ma non si può dire tutto subito -  tu, Gianni hai ritratto un personaggio la cui cultura, non solo non riesce a porlo a distanza critica dal reale e da se stesso, ma lo intrappola sempre più nel non senso, espropriandolo dell’inquietudine etica autentica, da ogni sentimento mansueto, da ogni appartenenza umana non abitata dalla ferocia e dal disprezzo.  
Se il tuo occhio e il tuo sentimento si è posato sullo spaccato di mondo dove ciò si verifica e ha permeato in profondità i legami sociali così da mutarli in cosa (potere, denaro,violenza e sopraffazione, inganno…), non è perché tu sei cattivo o mediocre scrittore, ma perché non ritenendo credibili e spendibili certi modelli di apologhi edificanti, per onestà intellettuale devi necessariamente incontrarti con i Valdo e i personaggi, meno carnei, di contorno,  perché sono tipici. Ma se singolarmente considerati sembrano mostri, lo sono solo in sottordine... Insomma non è Valdo il mostro, la mela marcia - benché lo sia come individuo di una morale assoluta - ma mostruoso  è il sistema che lo produce e ne alimenta nello stesso tempo la ferocia e la mancanza di ogni minima forma di empatia umana. E il sistema - che ne seleziona, per dir così, il genoma - si regge sul possesso, raggiunto non importa come: avere cose per avere signoria sugli umani, dominare su di essi o distruggerli, anche perché loro e il Valdo sono replicanti prodotti dalla stessa logica.
È  questo, credo, il materiale per la tua favola nera. Ma come per le favole che finiscono con i lupi che mangiano gli agnelli e dominano sulle pecore, non si dà catarsi etica né drammatica, perché l’istinto narrativo dell’Autore sa  che “a canzoni non si fan rivoluzioni”.  
Ma si può mettere in scena l’ironia amara, lo sproloquio etico consolatorio, le smargiassate e le sviolinate sentimentali per la musica, la passione strumentale e animalesca per le donne, le farneticazioni dove le aporie e gli ossimori sono la traduzione verbale degli scollamenti umani e sociali  e dell’orrore delittuoso stemperato dalla fragile consistenza  dei replicanti e dal fatto che la narrazione  si mantiene, e lo deve, sul piano favolistico e letterario da cui era partita.
Tu, questa mise en scène, riesci a sostenerla in modi che, insistendo sul regime da favola, attingono al tipo di disperazione che caratterizza certi personaggi beckettiani; riesci in alcuni tratti a dare flusso quasi di canto, di poesia, come già detto, alla sequela demenziale dei soliloqui e dei non-sens, così come risulta letterariamente interessante il calibro ben dosato dell’idioma malavitoso che punteggia dialoghi e progetti delinquenziali.    

Nessun commento:

Posta un commento