venerdì 7 ottobre 2016

Uno sguardo di bianca su "Isole e voci" di Maria Rosa Giannalia

È con questo titolo che la seconda raccolta di racconti di Maria Concetta Rosa Giannalia vede la luce.
Ma qui la semplice e gaia magia volta all’infanzia si muta in un discorso realistico, scorrevole e apparentemente senza preconcetta malizia, il quale, andando a frugare nello sciogliersi quotidiano del vivere, vi coglie l’inatteso, oppure il paradosso, o anche l’insensatezza; e questi tratti si manifestano variamente combinati con l’insormontabile solitudine e l’ambiguità degli esseri umani nell’ambito delle relazioni sociali e interpersonali.
Sono proprio le voci - nella loro normale sonorità che Maria Rosa, figlia naturale e adottiva di diverse isole, modula - non solo a specificare la geografia spaziale in cui  vuole introdurci, ma anche a inviarci gli echi d’un fondo umano oscuro e inquieto a lei noto. Esso si palesa simile, malgrado i diversi idiomi e i differenti localismi, e spesso larvato entro i connotati della banalità quotidiana. Anche quando il racconto comincia a dipanarsi da un evento apparentemente più drammatico, nasconde una verità più sottile e acre, che appare quasi di colpo ancorché sommessa e stemperata nei toni ingenui di un personaggio fanciullo, come in Tanino.
Le vicende narrate espongono un susseguirsi di situazioni, a partire da quelle in apparenza logiche o naturali fino a quelle che si svolgono sullo stretto limite dell’insensatezza. Più che volute, risultano subite da personaggi ordinari, i quali, così come vivono, si spengono nel progressivo annullamento di ogni senso del loro  passaggio, tranquillo o feroce o misero, nel mondo.

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