Ho letto il solco roso dal tempo

Ho letto il solco roso dal tempo,
inciso nel calcare sbiancato.
Denti calcinati dal sole
Nella gengiva rossa della dolina.
più col ricordo e l’ansia
che con gli occhi.
I cespugli, le foglie, il bosco
quasi a nascondere la terra,
fradicia ancora di umori di morte,
tutto ricopre con pudore
la stanca ripetitività del tempo.
E ti ho visto”Cippo Brigata Sassari”
labile segno di pietra
per l’urlo disperato,
il rimpianto per i campidani
rossi di papaveri
e la pecora al pascolo;
e il corpo straziato rivolto alla roccia
a concimare il nulla:
quello di ieri,
quello di oggi.
E io tutti li ho visti … i riversi …
tutti li ho li ho riconosciuti,
non mancava nessuno.
Ma il singhiozzo ha interrotto
Il silenzio dell’anima…
e lento saliva sul Carso
un volo di gabbiani.
di Eraclio Nateri

Accludo qui una mia nota
Questa poesia così intensa e forte
indurrebbe a credere che il Poeta fosse un reduce.
No; e lo scrive a chiare
lette là dove dice “ho letto”.
Che cosa legge? Un cippo, un cippo così
poco significativo rispetto a una terra ancora fradicia di “umori di morte”e a
una testimonianza umana così povera di viva ed efficace memoria .
E perché, pur leggendo, cioè riprendendo
atto di fatti non vissuti in prima persona, si avverte lo stesso strazio e
quella stessa rabbia che i “riversi”, tutti presenti nella morte violenta delle
battaglie avrebbero manifestato se avessero intuito l’inutilità del loro
sacrificio.
E qui non si può non notare la discreta
citazione del poeta – soldato e reduce Ungaretti.
Questa poesia mi chiama a una vicinanza col
sentimento del poeta, e m’induce a dire -io con lui – noi.
Noi, di terza e quarta generazione post,
ci siamo portati dietro un retaggio di ansie che ci continuano a spezzare
l’anima tra voglia e paura di non poter più capire e archiviare, perché anche
il voler capire e giudicare è doloroso, come se dovessimo entrare di nuovo con
la carne viva dentro una maglia metallica già tessuta senza di noi; soffriamo
tra desiderio e paura di ricadere in una falsa consolazione innocentista, non
più possibile, viviamo sgomenti in quel nuovo ordine che scaldavamo
luminosamente umano e che invece si rivolta in nuovi orrori in progressione.
In questa poesia il poeta, e noi con
lui,viviamo tutte le guerre della contemporaneità, specialmente quelle che
incoronano di spine il nostro unico giorno,
che sono la cifra dell’ordine attuale e ripetono all’infinito il nostro
scacco etico e politico.
Eraclio mi chiama in causa e mi scuote
con questi versi che rifiutano il patriottismo di ricupero, ma sono una domanda
inquieta: quando saremo umani in un modo diverso?
Bianca Mannu